Il processo creativo_2° parte

di Isabella Tholozan

 

Il processo creativo è stato, negli anni, teorizzato e sperimentato, fino a essere misurato e suddiviso in varie fasi, ma, oltre agli aspetti cognitivi, esistono dinamiche inconsce che sono state interpretate dalla psicoanalisi e che, nel loro sviluppo scientifico, fanno capo a quanto teorizzato da Sigmund Freud.

Compito di questo secondo intervento è far conoscere le interpretazioni “psicodinamiche” più note, allo scopo di comprendere cosa succede nel pensiero di ognuno di noi, ogni qualvolta ci impegniamo nell’atto di creazione artistica.

 La vita inconscia è stata dalla psicoanalisi teorizzata come un bagaglio di energie diverse, pulsioni, istinti e bisogni, che, se oltremodo compresse, richiedono uno sfogo che s’identifica con la tipologia di comportamento.

L’equilibrio costante tra queste pulsioni determina la “salute” dell’Io e dell’Es, grazie anche all’intervento dei meccanismi psicologici di difesa, detti “mediatori”.

La nostra normalità è quindi il risultato della flessibilità psicologica ottenuta dal lavorio dei mediatori che soddisfano in maniera equilibrata, le necessità dell’Io e dell’Es; all’opposto, troppa censura operata dai meccanismi di difesa porterebbe alla nevrosi e alla malattia.

E’ all’interno di questo quadro che il processo creativo si sviluppa, ma, a quali risorse psicologiche attinge? Sono consce o dettate dall’inconscio? Alla creatività sono più portate le persone normali oppure quelle “nevrotiche”? Quali caratteristiche differiscono le persone creative da quelle non creative?

Secondo il pensiero di Sigmund Freud la persona creativa è motivata da forze inconsce sfogate attraverso il fantasticare; i conflitti inconsci di questi soggetti sono simili a quelli del nevrotico ma, quest’ultimo, contrariamente al creativo, è oppresso dalle cariche inconsce.

Sempre secondo Freud, l’artista arriva alla conciliazione dei principi del piacere (Es) e di quelli della realtà (Io), seguendo percorsi particolari e propri; l’analogia è quella con il gioco infantile e con l’utilità che lo stesso ha sull’equilibrio psichico del bambino.

Come il gioco, la creatività investe la realtà, attraverso la fantasia, di nuovi significati e valori, anche affettivi, e assume la funzione della valvola di sfogo per quelle tensioni inconsce che non troverebbero altrimenti un’adeguata espressione.

Il creativo, l’artista, si distacca dall’oggettività inappagante della realtà, trasferendo la realizzazione dei suoi desideri di riconoscimento, accudimento e amore, nel mondo della fantasia. Contrariamente a quanto succede al nevrotico, l’artista riesce, con le sue doti, attraverso la costruzione di “cose vere”, a ritornare dal mondo della fantasia a quello della realtà.

Tale produzione è il risultato di quanto operato dal meccanismo di difesa della sublimazione, orientato al riequilibrio tra le diverse richieste psichiche, generando così l’opera d’arte, che si afferma come una sorta di medium eretto al fine di permettere le regressioni verso le fantasie infantili.

Le fantasie dell’artista diventano così anche nostre e l’arte rappresenta allora quella zona intermedia tra la realtà e la fantasia, soprattutto dei desideri inappagati. In questo modo l’arte diviene un oggetto culturale perché è legata alla comunicazione e al consenso fra gli uomini.

Gustav Jung amplia lo spettro di analisi dal soggetto all’aspetto antropologico e storico, fornendo così tesi affascinanti sull’influenza che le esperienze passate e ripetute dall’umanità hanno sui sistemi del pensare.

Queste nostre esperienze ancestrali, presenti nei miti e nelle leggende, contengono forti similitudini e forniscono un “inconscio collettivo” che riproduce una visione del mondo, priva di tempo, opposta quindi alla visione del singolo soggetto, dove gli archetipi condivisi sono modelli innati all’interno dei quali l’esperienza individuale può rispecchiarsi.

Questa immagine inconscia e speculare del mondo genera potenti azioni psichiche che si esprimono attraverso il fantasticare, libere del pensiero logico, sprigionano energia creativa; una sorta di linguaggio dell’inconscio collettivo che si esprime attraverso una simbologia che fa capo agli archetipi e alla mitologia universale.

Per Jung la relazione tra archetipi, innati e immutabili, e le esperienze individuali, produce una sintesi ricca di potenza creatrice, grazie alla funzione simbolica in essi contenuta.

Altri psicoanalisti hanno approfondito il filone junghiano, definendo altre tesi rilevanti, come Erich Neumann, per il quale, all’interno dello sviluppo del processo creativo, si fondono le dimensioni collettive e quelle individuali, senza necessità di sublimazione, poiché l’artista riesce a bilanciare le pulsioni consce e inconsce, riconoscendo tra i due opposti la soluzione.

Aldo Carotenuto lega la sofferenza alla crescita creativa e ci svela come la sofferenza psicologica possa farci pervenire a verità non raggiungibili con la normalità. La pulsione creativa porta pertanto la sofferenza a diventare strumento affinché la persona, capace di dare un significato alla sofferenza, migliori, ampliando le proprie prospettive.

Anche per Alfred Adler la sofferenza dell’età infantile è un fattore rilevante nel processo creativo; le menomazioni fisiche e le sofferenze che ne derivano concorrono a sviluppare una reazione al sentimento d’inferiorità, una sorta di rivincita, una volontà di compensazione che porta il soggetto, in alcuni casi, a distinguersi proprio nei campi dove la difficoltà rende deboli.

Per altri, la creatività artistica, che appartiene a tutti, è un ruolo importante di sostituzione dei meccanismi di difesa che, come abbiamo visto, inducono alla nevrosi; così come per i bambini, anche per l’artista adulto, il fenomeno creativo non è più visto come esclusivo, ma come un momento di crescita individuale e di sviluppo, messo in atto per risolvere le complicate dinamiche dei primi anni di vita di ognuno.

Una sorta di ricostruzione interiore, possibile grazie alle capacità di creazione che l’arte concede, alla consapevolezza del proprio mondo interiore e del materiale esterno con cui lavorare, superando le difficoltà del nevrotico, inibito e sterile per colpa dei comportamenti di difesa messi in atto.

 

A conclusione di questo intervento, che mi auguro, persuaderà alcuni di voi, pazienti lettori, ad approfondire e capire anche il proprio mondo creativo, desidero riportare una citazione di Pablo Picasso il quale, da genio assoluto, decretò: “Ogni atto di creazione è, prima di tutto, un atto di distruzione”.

Fine seconda parte

 

 

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Il Processo Creativo_1° parte_ foto di Michael Wolf_Multiples Tokyo

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Il Processo Creativo_3° parte_foto Renè Burri_San Paolo 1960